Presentazione

Un'ampia raccolta monografica rivolta ai più illustri esponenti della pittura e un buon numero di volumi di analisi critica, sull'ampio panorama dell'arte figurativa, sono la prima gradevole sorpresa dell'essere ospiti presso l'abitazione di Ezio Mattiuzzi; quindi la piacevole visione di un cospicuo numero di opere – forse le più amate – esposte sulle varie pareti: opere dipinte da Mattiuzzi nell'arco di circa cinquant'anni; poi ancora tele direttamente appoggiate sul pavimento o riposte in capaci scaffali.

L'aspetto più singolare è offerto dal luogo dove le opere vengono realizzate: un piccolo ambiente organizzato in modo razionalissimo, una sorta di pensatoio-laboratoio ad esclusivo uso del pittore, nel quale è impossibile subire distrazioni. E' in questo “studiolo” che vedono la luce composizioni di meditazione come le nature morte, molto care a Mattiuzzi, mentre i temi paesaggistici nascono sul campo, dove il confronto tra pittore e veduta avviene in modo anche più immediato e disinvolto.

In tanto, prima di soffermarmi su alcuni aspetti del suo linguaggio pittorico, sottolineo che il nostro artista è cresciuto nell'espressività in modo assolutamente autonomo e autodidattico; col supporto però dei libri di storia dell'arte e di un'assidua frequenza alle mostre di rilievo e a musei. Forse non a caso è membro del Consiglio Direttivo della più che benemerita Associazione “Amici dei Musei di Vercelli”.

Approfondendo un poco come sia nata la passione per disegnare e dipingere – esercitando parallelamente un'attività imprenditoriale – vengo a conoscere che fin da giovanissimo, scolasticamente parlando, manifestò un'innata predisposizione e abilità nel saper verbalizzare graficamente; inoltre, e può essere significativo, ebbe l'opportunità di incontrarsi con un cugino, residente a Milano, collaboratore di quel Walter Molino che sostituì nel 1945 l'indimenticabile illustratore Achille Beltrame per la prima pagina della storica “Domenica del Corriere”.

Raggiunto un certo livello, Mattiuzzi sentì la necessità di proporsi in rassegne collettive e concorsi. Non mancarono segnalazioni, riconoscimenti e premi, oltre a giudizi onorevoli pronunciati con competenza e autorevolezza. Dal 1974 al “28° Concorso Nazionale di Pittura e Grafica” tenutosi al corrente anno a Salsomaggiore Terme, ha continuato a raccogliere buoni consensi.

Nel soffermarmi su alcune opere del nostro pittore mi è stato facile individuare non pochi aspetti qualificanti.

Tra i paesaggi si evidenziano, per sensibilità tecnica e c romatica, quelli studiati lungo la parte bassa del fiume Sesia, dove si trovano situazioni di specchi d'acqua ristagnante, note come “Lame del Sesia”; sensibilità tecnica e cromatica che mi porta a ricordare un altro pittore vercellese purtroppo un poco dimenticato: Cesare Libano, formatosi all'Istituto di Belle Arti di Vercelli seguendo le lezioni di Ferdinando Rossaro. Ma anche gli uliveti presso Assisi e le Fonti del Clitunno sono interpretazioni pittoriche tali da evocare quella particolarissima quiete agreste vissuta dall'umilissimo Francesco, oppure l'atmosfera quasi fiabesca di quelle acque purissime cantate poeticamente da Virgilio e Carducci. Anche semplici particolari inseriti in un contesto pittorico più ampio ridestano memorie – prossime ad essere altrimenti dimenticate – come un'immagine votiva della venerata Madonna d'Oropa posta sulla parete di una casa contadina presso l'antico mulino di Villarboit.

Ho visto pure qualche ritratto di persone care al pittore e conseguentemente rivolto in modo psicologicamente caratterizzante come solamente i vincoli d'affetto e d'intimità possono consentire: mi riferisco a quelli della figlia Cristina e della moglie.

Tuttavia il genere di dipinti che più creano interesse d'analisi sono le nature morte. In essere vengono realisticamente esaltati, con puntualità “fiamminga” oggetti vari: oltre a panni, tappetti, stoffe seriche e velluti con le loro mutevoli cangianze dovute alla luce, e ... libri, quasi una costante la presenza dei libri. Libri pittoricamente proposti in modo tale da comprenderne l'uso intenso, per cui se n'é consunta la copertina e la luce ne ha ingiallito le pagine. In questi studi di nature morte sembra di vedere una ricerca emulativa nei confronti del grande Evaristo Baschenis che nelle sue “silenziose” composizioni di strumenti musicali dipingeva anche l'eventuale presenza di polvere su di essi depositatasi.

Mi piace concludere citando John Canaday, già critico d'arte al New York Times, che affermò: “La pittura è una triplice esperienza:degli occhi, del sentimento e dell'intelletto”.
Credo di poter affermare che Ezio Mattiuzzi ci consente di rilevare nelle sue opere questa esperienza.

Prof. Mario Guilla

 

Nella riservata - nel senso di raccolta - pittura di Ezio Mattiuzzi è facile leggere perché apparentemente facile, sembra, il discorso figurativo, quel discorso che rende sereno lo spettatore e non lo invita in elucubrazioni tematiche alla ricerca delle quali, spesso, si perdono le persone più preparate, “i cosiddetti del mestiere”.

Senza dissertare, quindi, sulla ragione storica che ha giustificato in pittura la ricerca di nuovi orizzonti artistici e aggiornati moduli espressivi, vorrei spendere due parole sul preponderante ritorno al figurativo (che passa attraverso il canale dell’iperrealismo) e parlando della pittura di Ezio Mattiuzzi me ne si concede la giustificazione.

Questo pittore vercellese che trascrive il paesaggio e che aggiorna la sua esigenza emotiva in relazioni cromatiche con la tela per il tramite di un racconto più descrittivo che tonale, mi riconcilia con la buona pittura; certo il nuovo mi entusiasma ma non voglio essere aggredito dall’assurdo e non voglio nemmeno, però, plaudire alla tradizione solo perché questo fa parte dell’arcano modulo felice: trovo giusto e naturale, quindi, che in arte vi sia spazio e cittadinanza alle esperienze anche le più disparate pur tuttavia lasciatemi dire che nelle opere di Mattiuzzi trovo una notevolissima vena poetica ed una aggressività che non viene meno anche là ove il tema dell’opera giustifica una osservazione pacata e una decisa propensione all’ottimismo specie nelle opere più solari dove la luce è accecante e il sole un esplosione.

Mattiuzzi si compiace a volte del suo mestiere come il poeta che si diletta con l’armonia musicale dei termini quando cuore fa rima con amore (per quanto del cuore e dell’amore abbiano scritto anche grossi e straordinari talenti) e quando il sentimento prevale un tantino sui contenuti, ma pure in queste sue opere, che chiamerei “del periodo romantico” vi è una struggente felicità ed una genialissima vena pastorale.

La pittura di Mattiuzzi è una felice miscela di opportunismo e di poesia, di mestiere e di lirismo e non stupiamoci di queste apparenti contraddizioni perché l’arte che non da spazio per la tecnica è qualcosa che non serve, come la poesia che non si fa leggere.

Le opere di Mattiuzzi hanno la misura e la ingenuità della buona pittura di razza e la gradevole leggibilità di un buon libro di fiabe e le fiabe, in questo mondo tecnicizzato, sono il sale della vita.

Prof. Renzo Vergani